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Ecco perché la tecnologia nel processo può essere utile per la tutela dei diritti

CHIUDERE ALLE UDIENZE DA REMOTO PENALIZZA I CITTADINI

ROBERTO ARECELLA GIOVANNI ROCCHI

di ieri in materia di processo dematerializzato del presidente della associazione più rappresentativa dei civilisti italiani, che giustamente rivendica la pari dignità delle questioni civili ed auspica che si riprenda quanto prima a giudicare e decidere sulle istanze dei cittadini, ha dato voce alla posizione di chi si oppone alla celebrazione delle udienze da remoto. Neanche troppo velatamente, il dibattito ( almeno in ambito civilistico) viene trasferito sul piano di una pretesa contrapposizione tra avvocati conservatori, fautori della udienza “solida” che offrirebbe più garanzie ai cittadini, ed avvocati innovatori, aperti invece all’utilizzo della tecnologia i quali, in nome dell’efficientismo, sarebbero disposti a sacrificare addirittura il diritto di difesa dei propri assistiti.

E si mettono le mani avanti, osteggiando l’utilizzo delle udienze da remoto persino nella corrente fase emergenziale, “sia perché non si fanno esperimenti sui diritti dei cittadini, sia perché, in Italia, nulla esiste di più definitivo di ciò che è provvisorio”.

Una simile posizione non solo non esprime un sentimento unanime dell’avvocatura, ma finisce col ledere nell’immediato gli interessi degli “utenti della giustizia” che dichiara, invece, di voler proteggere da chissà quale abuso. Com’è noto, il rinvio “puro e semplice” di un processo civile costituisce il momento deteriore della civiltà giuridica: è il momento nel quale lo Stato dichiara di postergare l’attuazione dei diritti del cittadino ad altre esigenze, molto spesso meno nobili. Tale odioso evento, in realtà, non richiede innovazione alcuna, perché il processo si può rinviare con pochi “click” e qualche comunicazione telematica di cancelleria: non vi sarebbe quindi necessità alcuna di celebrare udienze da remoto. Quindi che i predetti “conservatori” si aprano alla trattazione da remoto, ma solo per le udienze che “non si trattano ma si rinviano”, non ha alcun senso. Udienze a trattazione scritta ed udienze da remoto, in realtà, si pongono come alternativa proprio ai meri rinvii dei processi, mirando a sostituire la presenza fisica con uno scambio di succinti scritti contenenti le sole istanze e conclusioni da sottoporre al giudice ovvero con la presenza dei difensori, dalle parti ( e, secondo quanto emerge dal ddl di conversione del dl 18/ 2020) degli ausiliari del giudice mediante collegamenti da remoto. Il novero delle udienze suscettibili di trattazione in tal guisa - delle quali, quindi, si eviterebbe l’esecrabile rinvio puro e semplice - è notevole, potendosi escludere nel contenzioso le sole prove testimoniali e le cause in cui, per ragioni contingenti o per la specifica materia, la comparizione fisica delle parti sia ritenuta irrinunciabile ( si pensi, per esempio, ai giudizi in materia di affido dei minori).

Ridurre il dibattito tra garantisti e efficientisti, sminuisce quindi le vere ragioni di chi sostiene che anche la Giustizia debba far propri gli strumenti tecnologici che ormai vengono ampiamente utilizzati. Costoro non intendono affatto abdicare al ruolo di difendere con la massima ampiezza le ragioni dei loro assistiti e, anzi, ritengono che ciò sia realizzabile attraverso la tecnologia con pari e superiore efficacia. Si tratta, quindi, di una contrapposizione squisitamente culturale. Non tecnologia per rinviare le udienze, ma tecnologia per ottenere la tutela dei diritti. Partendo dal presupposto che il rinvio dovrebbe essere evitato per quanto già detto, sarebbe auspicabile che lo strumentario costituito dall'udienza a trattazione scritta, da remoto e tradizionale, venisse utilizzato con intelligenza, traendo l'utile da ciascuno strumento in relazione alle varie scansioni processuali e, comunque, alle specificità di ogni controversia. Quanto all'udienza da remoto non può essere accettato, quantomeno nell'ambito civilistico, un giudizio di inutilità. L'udienza civile è luogo di discussione e scambio di informazioni tra gli attori del processo, che è sempre ed in ogni caso preceduta ( e molto spesso anche seguita) dal deposito di atti scritti. In queste settimane di divieti di movimento la maggior parte dei professionisti e dei cittadini, hanno avuto modo di utilizzare strumenti di videoconferenza ed è assai diffuso un giudizio ampiamente positivo sull'efficacia degli scambi comunicativi che tali strumenti possono assicurare, assolutamente idonei a garantire la celebrazione della gran parte delle udienze civili.

Non è dato di comprendere, quindi, le ragioni di un pregiudiziale rifiuto di uno strumento che, utilizzato con intelligenza nei casi in cui sia possibile farlo, consentirebbe di evitare una messe di rinvii destinati a cagionare un prevedibile blocco della giurisdizione civile nei prossimi mesi, quando le questioni che non vengono trattate ora si aggiungeranno quelle, senz'altro numerosissime, che troveranno ragione nella futura emergenza economica.

Si corre il rischio il processo civile resti vittima, oltre che del coronavirus, anche della paura o dell’ignavia.

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