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«Uno Stato è forte se tutela anche i diritti di Riina »

La temibilissima Cassazione è il virus che infetterà lo Stato di un morbo devastante, capace di condurci alla resa davanti alla mafia? «Lo Stato in grado di sconfiggere la criminalità è proprio lo Stato che è in grado di riconoscere e assicurare i diritti della persona. Anche di un criminale come Riina». Mario Palma presiede l’Autorità Garante dei diritti dei detenuti. E, con lo stesso coraggio dei giudici che hanno chiesto di rivedere la sentenza sul boss di Cosa nostra, dichiara di essere «anche il garante di un criminale come Riina, anzi: è innanzitutto rispetto a chi non suscita alcuna empatia che si deve esercitare la funzione di garante».

Partiamo dal diritto alla morte dignitosa: è un principio costituzionale, non c’è una legge ordinaria che lo tuteli.

Sì, molto semplicemente esiste un’oggettiva asimmetria tra l’individuo libero e il recluso di fronte a un evento infausto, come si dice a proposito di un attacco cardiaco fatale. Chi è libero può contare su reti di supporto parentale, anche affettivo, diverse da quelle accessibili all’interno di un carcere. Lì non c’è la stessa condizione che può essere alleviante anche nel caso di eventi infausti. Il che ci conduce immediatamente all’aspetto della sentenza a mio giudizio più significativo.

Qual è?

Vede, non è che la Cassazione dia un’indicazione netta, non prescrive di sospendere la pena, dice piuttosto al Tribunale che nell’assumere la propria decisione ha sbagliato a tenere conto solo del passato, del reato, e non anche della condizione oggettiva presente che si è venuta a determinare.

Cioè i giudici di sorveglianza avevano deciso solo sul Riina criminale e non sulla persona malata.

Esatto. E questo approccio rende di fatto inutilizzabili tutte le argomentazioni che il Tribunale aveva richiamato nella propria sentenza. Nella pronuncia della Cassazione è questo il punto più interessante.

Anche Riina va giudicato per quello che è oggi: un vecchio allettato.

Il che non vuol dire che la nuova sentenza del Tribunale dovrà per forza concedere la sospensione della pena. Potrebbe stabilire che le condizioni di salute non sono tanto gravi e che Riina è ancora in grado di esercitare un ruolo in Cosa nostra. Ma appunto la Cassazione dice ‘ non puoi decidere solo in base al fatto che Riina è stato il criminale che è stato’.

Molto pare dipenda dalla possibilità di attrezzare la cella con un letto che consenta a Riina di essere sollevato.

Non è detto che sia l’aspetto decisivo, perché non mi risulta che Riina in questo momento sia materialmente in cella. Devo fare un’ultima verifica, ma si può dire con un alto margine di probabilità che sia tenuto nella parte sanitarizzata del carcere di Parma. Nella sentenza della Suprema corte d’altra parte si fa opportuno riferimento al fatto che una malattia grave non è affrontabile in un normale situazione carceraria.

C’è chi come il senatore Lumia dice: se si scarcera Riina si dà un segnale di resa alla mafia. È così?

Si può rispondere con Beccaria: un individuo non può mai essere un mezzo, deve restare il fine. Se le decisioni su un determinato soggetto vengono assunte in funzione del messaggio che ne può derivare, allora quella persona è ridotta appunto a mezzo, e questo non è mai lecito. Dopodiché io credo che uno Stato forte, in grado di sconfiggere la mafia, è proprio lo Stato in grado di riconoscere i diritti della persona e di assicurarli. Io non so quali siano esattamente le condizioni di Riina, ma so che vanno valutate come le condizioni di salute di una persona e non in funzione di un messaggio da dare alla collettività.

Anche un boss come Riina va trattato innanzitutto come persona?

A me sembra che a un certo punto sia stata sospesa la pena a Priebke. Bisognerebbe ricordarlo.

E l’Autorità che lei presiede è garante anche del detenuto Riina?

Certo. Altrimenti è come se un grande chirurgo accettasse di curare solo chi sta bene. E si lamentasse magari se gliene portano uno davvero malato. Anzi, noi siamo garanti in particolare proprio di coloro rispetto ai quali il sentimento di empatia è pari a zero. Proprio perché è così, noi siamo garanti dei suoi diritti.

Questa è una cosa molto pannelliana.

Eh, io non la prendo per una

considerazione negativa.

Ci mancherebbe. I familiari delle vittime hanno criticato molto la sentenza.

Sono valutazioni da rispettare assolutamente.

E alcuni leader di partito ne hanno già fatto una campagna politica.

E queste posizioni invece non vanno considerate. In questo senso riconoscerà che i giudici della Cassazione sono stati bravi proprio nel non riferirsi a un tipo di legittimazione basata sul consenso anziché sul diritto.

Cosa intende dire?

L’esercizio della giustizia avviene sulla base del principio di legittimazione legale, cioè della norma che consente una determinata decisione. Finché è effettivamente così, sto tranquillo. Se ci si basasse sul principio di legittimazione consensuale, allora tremerei.

I giudici della Cassazione possono essere considerati coraggiosi per questo?

Esatto. Non si sono discostati dal principio di legittimazione legale.

Di Matteo dice che si va verso benefici ai mafiosi: la delega sul carcere li prevede davvero?

No, non è così. E anzi, proprio nell’ultimo passaggio parlamentare in cui quella parte della riforma penale è stata modificata, l’estensione dei benefici è stata specificata dall’espressione ‘ fatti salvi i casi di cui all’articolo 4 bis’. Il che significa tenere fuori tutti detenuti in Alta sicurezza per fatti di mafia. Di Matteo conosce mille volte meglio di me le questioni di criminalità, è una persona seria e va ascoltato. Ma rispetto ai meccanismi che disciplinano sul piano legale la detenzione, credo che chi come noi ha seguito i lavori degli Stati generali conosca la materia un po’ meglio di lui.

Sarebbe così scandaloso consentire ai mafiosi di comunicare via Skype con i propri congiunti?

Premesso che non è un punto all’ordine del giorno perché, in fatto di tecnologie, negli istituti siamo ancora al paleolitico, invito a riflettere su una cosa. Adesso ci sono limitazioni enormi nel recapitare libri ai detenuti al 41 bis per il timore che in qualche pagina si nasconda un messaggio al mafioso. Visto che ci sono detenuti al 41 bis che vogliono studiare, perché non pensare a dei dispositivi digitali chiusi su cui la stessa amministrazione carica i libri? Sarebbe molto più sicuro. E l’esempio serve a dirci che in generale la tecnologia garantisce molto meglio la sicurezza. Ecco perché Skype, se ben controllato, non sarebbe scandaloso. La mafia ha grandi strumenti, ma proprio per questo le nostre strategie di risposta devono essere sofisticate, e non limitarsi a un tipo di contrasto buono solo per essere propagandato all’esterno.

«PERSINO UNA DECISIONE SU UN MAFIOSO DEL GENERE VA PRESA SULLA PERSONA E IL SUO STATO ATTUALE, NON SUL SUO PASSATO.

ECCO COSA HA SANCITO, CON CORAGGIO, LA CASSAZIONE»

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