Bookmark and Share

Il nuovo, strano bipolarismo

Il proporzionale non si vende. E infatti gli italiani non l’hanno comprato. Il bipolarismo è resiliente. E infatti gli italiani lo hanno salvato.

E hanno mandato un chiaro segnale: il tripolarismo sarà transitorio. Certo in Italia le transizioni sono lunghe, ma prima o poi si compiono. Perché il bipolarismo, come insegna la storia, non consiste nell’esistenza di due soli partiti o poli, ma nel fatto che solo due partiti o poli sono effettivamente in grado di contendersi la vittoria.

Con i cittadini come arbitri e decisori ultimi di tale contesa. È vero le elezioni non hanno determinato un vincitore. E questa è colpa della massiccia dose di proporzionale nel sistema di voto. Ma hanno indicato una tendenza molto netta. Il centro è penalizzato. Tutti i partiti centristi sono rimasti ben al di sotto della soglia del 3 per cento. E il Pd si è trovato in mezzo a due contendenti, che gli elettori hanno percepito come i veri competitors.

Non sappiamo se siamo entrati nella Terza Repubblica, ma i lettori ricorderanno che allorché si affermò la Seconda ci furono vittime illustri e, una di queste, fu la Democrazia cristiana. Che, a differenza di quella tedesca, non era un partito di centro- destra, ma un partito che aveva costruito la propria storia tagliando le estreme e governando al centro. Quella centralità fu spazzata via dall’avvento del bipolarismo, il quale, in Italia, come nel resto del mondo, è caratterizzato dalla capacità dei due contendenti principali di intercettare il voto che va dalle ali, più o meno estreme, del sistema politico fino al centro. Chi riesce a tenere insieme la fetta più larga di elettorato tra il centro e i poli, vince le elezioni.

Anche nel voto di domenica gli elettori hanno indicato che il loro schema di gioco è esattamente questo. E, sulla base dell’offerta politica che c’era e nelle condizioni istituzionali e anche politiche di un Paese esasperato e stanco, hanno aperto la strada a un nuovo bipolarismo post- novecentesco, forse anche un po’ post- moderno e forse anche semplicemente un po’ pop. Ma questo è quello che è successo. La coalizione di centrodestra trainata dalla Lega e i Cinquestelle rappresentano questi due poli, che purtroppo, rispecchiano un Paese geo- politicamente spaccato a metà. I Cinquestelle, con il loro successo al Centro- sud, intercettano interessi legati ad una cultura politica statalista, fondata sulla promessa di sussidi, primo fra tutti il reddito di cittadinanza, vagamente comunitarista, pauperista e, se mi si consente il neologismo, “questionemoralista”. Dall’altra parte c’è un partito, la Lega, e una coalizione, che, con sfumature diverse, esprimono, persino all’estremo, una diversa cultura politica, intercettando interessi legati ai ceti produttivi, alla rivolta contro l’oppressione fiscale, all’esigenza della sicurezza. Anche per questo motivo la paventata saldatura tra Lega e Cinquestelle è impensabile. In questo quadro, come insegna la Germania, il junior partner ( la Lega) verrebbe divorato dal senior e soprattutto dovrebbe abdicare alla rappresentanza dei propri elettori, azionisti degli interessi che ho detto. Questo è il nuovo bipolarismo. Malgrado il proporzionale, malgrado le istituzioni che sono ancora quelle della Prima Repubblica, malgrado le resistenze diffuse. E non è un caso che sia Salvini sia Di Maio, da subito, abbiano iniziato la propria manovra di apertura al centro, presentandosi con un profilo assai più istituzionale di quello espresso in campagna elettorale. Ma attenzione: come in tutti i sistemi bipolari, apertura al centro non significa rinuncia alle ali. Significa competere, dalle ali, per contendersi gli elettori centristi, che sono decisivi perché, a seconda di dove si spostino, possono determinare la vittoria degli uni o degli altri. In questo quadro l’etichetta di populisti, quando ad essi arride il consenso di metà del Paese, rischia di essere alla lunga riduttiva.

Entrambi i competitor hanno pro e contra. Il vantaggio di Salvini è quello di fruire già di un’apertura verso il centro, grazie a Forza Italia e al suo elettorato. Il successo come leader della coalizione gli impone adesso di tenere ancora più conto di quell’elettorato. Di Maio ha il vantaggio di avere un partito unico, quindi più manovrabile di una coalizione, con un consenso molto alto, anche se non sufficiente. E in mezzo sta il Pd. Renzi non si rassegna al declino, blinda il partito e punta alle elezioni, forse per una rivincita che gli consenta di diventare il secondo polo. Ma la strada è in salita, perché, come dice l’Istituto Cattaneo, i Cinquestelle non sono un Flash Party, un partito congiunturale destinato a scomparire. Si trasformeranno, cercheranno di smussare i propri limiti, ma ormai hanno rotto l’egemonia ideologica della sinistra, su una parte del mercato elettorale.

E allora, sul tentativo di blindatura del Pd, da parte di Renzi, potrebbe prevalere un destino simile a quello della Dc della Prima Repubblica: la spaccatura dell’elettorato ( forse non delle élites) in direzione dei due nuovi poli. Ciò che forse è cominciato a succedere.

Per questo sarà difficile formare un governo in questa legislatura. Perché, di questi tempi, un governo più o meno raccogliticcio, coagulato da un polo, sarebbe fragile per definizione e aprirebbe la strada al successo dell’altro polo alle votazioni successive. Che nessuno sa quando saranno.

Mai come in questo caso i voti che mancano al centro- destra per ottenere la maggioranza in Parlamento vanno pesati, prima che contati. E Salvini lo sa bene.

Insomma, comunque la si veda, queste elezioni sono state il primo turno del nuovo bipolarismo. Oggi è presto per dire tra quanto tempo ci sarà il secondo turno. Ma potrebbe non essere così lontano.

Bookmark and Share