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Il referendum farlocco della Catalogna, ma l’Europa tifa per la secessione

Hanno fissato il referendum per l’ 1 ottobre, dopo aver visto ignorare il risultato della consultazione popolare del 9 novembre del 2014 e dopo che il partito Popolare, asperrimo guardiano della sovranità spagnola, ricorrendo contro lo statuto catalano votato da parlamento nazionale e assemblea regionale catalana, aveva rimesso nuovamente le cose al loro posto ovvero come stavano 300 anni fa: quando la Castiglia schiacciava la Catalogna. Madrid ha capito che non è il solito capriccio ma che c’è un margine di rischio più alto. Il referendum convocato non ha alcuna base giuridica e legale, la mancanza di quorum lo rende persino farlocco, eppure questa volta la sensazione è che anche l’Europa tifi per la secessione.

Non si dovrebbe andare molto lontano per ricercare una via di compromesso nella crisi che si è aperta nel cuore pulsante della penisola iberica. Si tratta di rileggere un adagio di un vecchio scrittore catalano Narcis Oller che diceva: «Dicano quello che vogliono i moralisti, la ipocrisia è una virtù pubblica, necessaria alla pace e a perpetuare la specie umana. Senza quella non spenderemo tutto all’armeria...».

Una via di uscita amichevole e ipocrita potrebbe scongiurare quello che ormai viene definito lo “choque” dei due treni che stanno correndo nella medesima direzione, quello del governo Spagnolo a difesa della Sovranità e della Corona, quello della Generalitat Catalana che vuole arrivare sino in fondo ed ottenere un agognata “indipendenciá”.

Come nella canzone di De Gregori le macchine, i turisti, i camion, le bici e soprattutto “le donne vanno e vengono” sulla Diagonal. Barcellona, la capitale del futuro Stato vive la stagione estiva che si sta aprendo nella sua normalità eppure siamo in presenza del rischio della più clamorosa secessione dal crollo del muro di Berlino ad oggi.

Scomparsi i miti del successo olimpionico del ‘ 92 Samaranch e Jose Maragall il grande sindaco che trasformò radicalmente la città e la Catalogna, poco a poco sono venuti avanzando i rappresentanti politici di una middle class frustrata e di una gioventù che ha reincarnato lo spirito repubblicano che ha sempre albergato nella grande area che si affaccia sul mediterraneo, il solo corridoio autostradale che collega la Spagna all’Europa.

Hanno fissato il Referendum per l’ 1 ottobre dopo aver visto ignorare il risultato della consultazione popolare del 9 novembre del 2014 e dopo che inopinatamente il Partito Popolare, asperrimo guardiano della sovranità spagnola, ricorrendo contro lo Statuto Catalano votato da Parlamento nazionale e Assemblea regionale Catalana aveva rimesso nuovamente le cose al loro posto ovvero come stavano 300 anni fa: quando la Castiglia schiacciava la Catalogna.

Se alzi lo sguardo negli affascinanti quartieri modernisti disegnati e scolpiti da Cerda, Gaudì e tanti altri non fai che scorgere bandiere giallorosse a fascie orizzontali, alcune con la “estelada” blu, retaggio della Catalo- gna più massonica, liberal- democratici e “ocupas”, sinistra repubblicana e sinistra moderata insieme portano in piazza e alle urne almeno più di due milioni di cittadini, pacificamente riuniti dallo spirito del tempo magistralmente rappresentato dalla squadra della città, i blugrana che sono rigorosamente indipendentisti.

Non è un caso che sia arrivato dall’Inghilterra il Pep Guardiola a pronunciare solennemente il discorso più duro contro Madrid, ma questa volta non contro il Real ma contro un governo cieco e sordo alle richieste del laborioso popolo catalano.

Dopo mesi di guerra sotterranea, dispetti, ricorsi alla giustizia ordinaria, cavillamenti giuridici alla Moncloa si sono accorti che questa strategia non paga, il fronte politico della Generalitat certamente è guidato da un improbabile Conducator, il giornalista Puigdemont, la compagnia di ventura del governo è tutt’altro che solida e autorevole ( un ministro fellone è stato da poco dimissionato per le sue dichiarazioni da insubordinato), ma quello che si capisce che questa esplosione indipendentista non è affatto isolata, ha alle spalle dei solidi affidavit pronti a riconoscere la bontà e la qualità del successo elettorale e a riconoscere l’indipendenza Catalana.

Madrid ha capito che non è il solito capriccio ma che stavolta c’è un margine di rischio più alto. Il referendum convocato solennemente non ha alcuna base giuridica e legale, la mancanza di quorum se possibile lo rende persino abbastanza farlocco eppure la sensazione che stavolta vi sia un interesse europeo e internazionale a promuovere un’Europa a ventotto stati con una Catalogna crocevia di affari e genti è lo spauracchio che ferisce l’orgoglio della Spagna che non ne vuole proprio sentire parlare.

Si sono addirittura esposti assieme gli ex primi ministri Aznar, Gonzalez e Zapatero che dopo aver descritto gli indipendentisti come dei bolivaristi e chavisti in sedicesimo tuttavia hanno strattonato Rajoy, la cui tattica attendista, legittimista e sovranista mostra tutte le falle del caso.

Ci vorrebbe un ipocrita compromesso per uscire da questo vicolo cieco, non può essere una contropartita danarosa seppure il denaro in questa vicenda conta, eccome! Non può essere una soluzione di forza perché anche eliminando politicamente e giudiziariamente la tolda di comando indipendentista, come nella epopea dei maquisard “il y aura toujours quelq’un qui prend sa place... ”.

Ci sarà sempre qualcuno che impugnerà l’estelada e domanderà di scollegarsi dalla Spagna. Si esclude per il momento di bombardare la pista dell’aeroporto piena di charter o di inviare i “carri armati sulla Diagonal”. Verrebbero inghiottiti dal traffico, e quindi la soluzione non potrà che essere politica.

Scartata la mediazione europea, la Merkel può avere interesse alla separazione ma certamente non potrebbe mai affermarlo, esclusa quella internazionale, gli americani hanno mandato in avanscoperta il NewYork Times che consiglia di legalizzare il referendum e poi di rigettarne i propositi si può affacciare quella italiana che è sempre la migliore: ovvero decidere di non decidere, riconoscere il massimo dell’autonomia, affermare l’esistenza della nazione e dello Stato Catalano e riunire queste entità politiche sotto la Corona un po’ spelacchiata dei Borboni. Le notizie sui giornali dicono che Messi ha rinnovato sino al 2021, che è previsto un aumento del prodotto interno lordo della Catalogna dell’uno e mezzo anche rispetto alle previsioni, che si inaugureranno presto dei nuovi ristoranti, che l’agenzia europea del Farmaco ha ottime possibilità di essere ospitata nella torre Agbar a Barcellona, che c’è stata una retata di camorristi in città che gestivano dei locali e che l’omicidio di un membro della guardia nazionale è stato per ragioni passionali e non per ragioni di carattere politico. È la calma che precede una tempesta o è la fotografia di una “belle epoque” di un popolo che ha riscoperto il valore della identità per sfuggire all’omologazione della globalizzazione.

È un contributo modernista alle fondamenta dell’Europa da costruire, infatti Barcellona al posto di Madrid ha chiesto di poter ottenere anche lei la sua quota di immigrati da accogliere e sfamare, quello catalano è un sovranismo all’incontrario per questo va preso sul serio.

Comunque vada un altro puzzle complicato si affaccia sul destino del Mediterraneo, gli Imperi di un tempo perdono smalto, gli uomini si riuniscono più volentieri sotto le bandiere o dietro lo scudo delle fedi perché pensano di essere più protetti, oppure è semplicemente la Storia che si fa un giro e poi ritorna al suo punto di partenza.

LE NAZIONI DI UN TEMPO PERDONO SMALTO, GLI UOMINI SI RIUNISCONO PIÙ VOLENTIERI SOTTO LE BANDIERE O DIETRO LO SCUDO DELLE FEDI PERCHÉ PENSANO DI ESSERE PIÙ PROTETTI

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